Posto fisso e Tremonti: la sinistra dov’è?

Quando era ministro dell’Economia del Governo Prodi, Tommaso Padoa Schioppa rilasciò un’intervista nella quale esaltava la virtù del lavoro flessibile e condannava senza appello il posto fisso. Ora Giulio Tremonti, ministro dell’Economia del Governo Berlusconi, afferma l’esatto contrario. Basterebbe questo per capire perché in Italia la destra, nonostante i disastri che combina, continua a governare mentre la sinistra continua ad essere ininfluente.
Le affermazioni di Tremonti sono di un’astuta banalità. E’ evidente che nella crisi attuale il precariato non è più in alcun modo difendibile, almeno sul piano dell’ideologia. Diventa chiaro anche ad occhi appannati che la flessibilità non è una maggiore libertà di scelta per chi lavora. Ma, al contrario, è il potere del padrone di scegliersi, per quanto vuole, il lavoratore più disponibile. Precarietà e flessibilità hanno accresciuto il potere delle imprese nella stessa identica misura con la quale hanno abbattuto la libertà dei lavoratori. Il rischio di impresa è stato trasferito dall’azienda ai suoi dipendenti.

La crisi finanziaria globale ha svelato il marcio e i trucchi dei mercati mondiali dei capitali. La crisi industriale svela il trucco della flessibilità. Tremonti è semplicemente un conservatore che prende atto della realtà, mentre i figli del passato sono Brunetta, Sacconi, Marcegaglia, Ichino e tutti coloro che continuano a sostenere un’ideologia della flessibilità che la crisi ha smascherato.
Il guaio è che la dialettica politica del Paese pare ridursi tutta a questo confronto. Da un lato chi dice che il posto fisso aiuta a metter su famiglia e, dall’altro, chi sostiene che indietro non si torna. L’Italia è messa tanto male anche perché la dialettica della sua elite è ridotta a questi miseri termini. Il Corriere della Sera e la Repubblica, seppure con toni diversi, considerano Tremonti troppo di sinistra. L’opposizione democratica spera sempre in un’alleanza con la Confindustria, con la quale superare Berlusconi. Cisl e Uil sono ovviamente spiazzate, perché non possono che condividere le parole di Tremonti, ma con Sacconi e Marcegaglia fanno accordi separati che esaltano la flessibilità. La Cgil per l’ennesima volta chiede un tavolo che non avrà.
E’ solo grazie a questo contesto che l’ovvietà di Tremonti, che non corrisponde ad alcuna scelta concreta e anzi accompagna una politica economica e fiscale che incrementa precarietà e flessibilità, riesce a conquistare il centro dello scenario politico e le prime pagine di tutti i giornali. Il messaggio di Tremonti allude a qualcosa di indefinito, per il quale non si sta facendo nulla, ma che proprio per questo diventa un mito su cui si può disquisire e magari fantasticare. Come la lotteria che assegna 4mila euro al mese, il posto fisso diventa il miraggio a cui aspirare.
Non sia ipocrita la signora Marcegaglia. La presidente di Confindustria sa benissimo che tutte le imprese, nella loro politica del personale, mettono al centro il posto fisso. Lo promettono ai più fedeli e lo rendono di diversa accessibilità per tutti gli altri. Il lavoro precario è prima di tutto uno stato di attesa permanente nel quale le aziende agiscono per comandare sul lavoro. Sono i padroni, gli amministratori pubblici, i banchieri, i finanzieri che valorizzano il posto fisso. Essi sanno benissimo che nessuna impresa, nessuna economia funzionano con tutti precari e flessibili. Il posto fisso non è mai stato superato, è semplicemente diventato il premio che spetta a coloro che, dopo un lungo percorso di precarietà, hanno mostrato sufficienti disponibilità e fedeltà.
Tremonti non ha mica detto che vuole i lavoratori più liberi. Anzi ha esaltato la figura del ragionier Fantozzi, spiegando giustamente che anche con il posto fisso si può essere fedeli e obbedienti. Se la sinistra avesse più orecchie per i lavoratori che salgono sui tetti, piuttosto che per gli slogan degli intellettuali bocconiani, non avrebbe difficoltà a chiarire che anche il posto fisso di Tremonti è di destra. Perché è solo un’aspirazione che premia i “meritevoli”, invece che un diritto universale da garantire a tutte e a tutti. Se la sinistra credesse ancora all’uguaglianza, non avrebbe difficoltà a cogliere in Tremonti le contraddizioni e anche il disagio di una destra che non sa cosa fare davvero di fronte a questa crisi. Invece, rimane spiazzata perché continua a seguire l’ideologia di Tommaso Padoa Schioppa, quella che ha portato alla catastrofe il governo Prodi.